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Een kritische kijk op een religieuze sekte

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Gewijzigd: 2009-24-10      Bezoekers:

 
   

Wie niet leert van het verleden, blijft steeds dezelfde fouten herhalen

 
   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

'Avevo venduto la mia anima'

 ( Koert vd Velde – TROUW – Olanda ottobre 2009)

 Dopo il suo ritiro lo scorso anno il cardinale Simonis andò a vivere con un gruppo di Focolari, un movimento di laici cattolici che incentra la sua attività sul concetto di ‘unità'. Secondo una ex-focolarina (cioè un membro dei Focolari che ha professato i 3 voti monastici – n.d.T.), che ha lasciato il movimento di 25 anni fa, quella dei focolari è una vera e propria setta.

 Fin da quando aveva dieci anni Monique Goudsmit, (ora ne ha 54), ha fatto parte della comunità dei Focolari nella città di Eindhoven, dove viveva.

Dopo la scuola quasi ogni giorno si recava lì, e, a volte, ci rimaneva anche la notte. Sua madre era contenta di avere una figlia così devota all’unità in Gesù'. La stessa Monique era molto entusiasta: "l'idea di essere uno con gli altri, immersa nel grande tutto, mi attraeva enormemente. La sera la passavo a letto a leggere le meditazioni scritte da Chiara Lubich, la fondatrice del movimento italiano. Aiutavo nell'organizzazione degli incontri giovanili; in breve ero diventata quello che si può definire il modello ideale di un giovane membro dei focolari. Ero una vera fanatica. Credevo fermamente che la mia missione fosse far conoscere e interessare le persone al messaggio dei Focolari con ogni mezzo possibile."

Dopo il suo diciannovesimo compleanno andò a vivere a tempo pieno nella comunità. In quell’occasione ricevette un ‘nuovo nome’ da Chiara Lubich: e da allora si chiamò proprio come la fondatrice, Chiara. "Quando mi sono resa conto di quale fosse il mio nuovo nome sono caduta in stato di shock. Ero al settimo cielo. Forse ero predestinata a fare qualcosa di bello? Ho iniziato a credere che quella fosse una chiamata."

Ma ora, guardandosi indietro, ha cominciato a capire che molte delle cose che le erano imposte erano sbagliate. "Dopo il liceo avrei voluto studiare presso l'Accademia di Balletto. Ma Lella, il leader del Movimento dei Focolari olandese e capo della comunità di Eindhoven mi disse, "Sarebbe meglio di no.” E, poiché tutto quello che desideravo  era ‘essere in unità’, obbedii e mi iscrissi ad una facoltà di Scienze Sociali che lei approvava."

Lella si trasferì ad Amsterdam e anche Monique andò con lei. "Quello che diceva il nostro Capo (in italiano, nell'originale - n.d.T.) era giusto e ne eravamo tutti convinti al 100%. Nessuno osava mettere in dubbio la sua parola. Essere uno con il Capo era una cosa essenziale, e tutti ci si dedicavano e si prodigavano per raggiungere questo obiettivo. Perché quello era il modo per essere uniti a Chiara in Italia. Per la stessa ragione, in casa veniva parlato prevalentemente l'italiano," dice la Goudsmit."Ricordo che una volta chiesi a Lella cosa significasse 'dare tutto a Gesù in mezzo a noi'. Lei rispose: 'Non è necessario che tu capisca fino a che c’è Chiara che capisce' ".

Almeno una volta all'anno i focolarini si recavano a Roma per ascoltare Chiara. "In quelle occasioni mi sentivo parte di un clima di euforia collettiva", ricorda Monique "ma mi sentivo in imbarazzo quando, dopo l'incontro, mi univo agli altri membri adulti per correre dietro l’auto di Chiara che andava via. Allora ero solita ripetere a me stessa - sei olandese, e hai troppo i piedi per terra per questo tipo di comportamento."

“Il grande ideale era l'unità, secondo le parole di Gesù: 'Se due o più sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro'. Presso i  Focolari si respirava un clima amorevole," continua la Goudsmit."Tutti  erano sempre allegri, sorridevano sempre, la gente intorno a me sempre gentile e gradevole. Tutti erano sempre felici. Non mi rendevo conto che io in realtà non conoscevo la vera personalità che si celava dietro quei sorrisi perenni. Come del resto nessuno sapeva quello che stava succedendo dentro di me. Chi eri non aveva importanza. Quante volte Lella mi ha detto: ' la Monique non deve esistere, deve essere morta per l'unità'. Solo dopo, con il tempo, ho capito che i membri della comunità non mi conoscevano e io non conoscevo loro, a dispetto del fatto che noi avessimo vissuto insieme per anni. Un’altra cosa strana era l’abitudine di rivolgersi a se stessi come ‘noi’ come era usuale. Non avevo veri amici tra i i membri della comunità, perché ognuno era ipso facto un amico. Non era lecito fare distinzioni tra una persona e l'altra e perciò avere delle preferenze. E non si dovevano costruire amicizie al di fuori del movimento. Quando qualcuno nella comunità chiedeva, ad esempio, 'Come stai?', si era soliti rispondere non solo con la 'bene', ma rafforzare il concetto questo con alcuni dettagli positivi. Ovviamente rispondere con qualcosa di negativo era  tabù: qualsiasi avvenimento, ogni piccolo intoppo, ogni minimo ostacolo doveva trasformarsi in qualcosa di positivo. E questa cosa mi rendeva nervosa, perché mi chiedevo sempre se avevo qualcosa di positivo da dire in tutte le occasioni.”

Regolarmente era praticata la cosiddetta ‘Ora della Verità’: dovevamo a turno parlare l’uno degli altri raccontando le cose positive e negative di ognuno, e non ci si poteva difendere dalle critiche altrui. L'unica risposta accettata era  'grazie', perché in quel modo ognuno era aiutato a liberarsi dei difetti che ostacolavano l’unità. Quando ero a casa da sola, i membri della comunità mi telefonavano spesso per chiedermi cosa stessi facendo, e in seguito ho scoperto che questi rapporti venivano poi  riportati alle autorità del movimento. Non tutti venivano controllati in questo modo ", dice la Goudsmit, "ma solo quelli che erano considerati deboli ". E lei stessa verificava il comportamento degli altri alla stessa maniera. Ora ovviamente ritiene che questo comportamento violi  la privacy e l’integrità delle persone "Adesso non prenderei mai in considerazione l’idea di chiamare qualcuno per controllare che cosa stia facendo."

Anche se Monique aveva un buon lavoro, non aveva i soldi per comprare vestiti. Tutto il suo stipendio mensile veniva trasferito direttamente sul conto della comunità. I vestiti venivano distribuiti occasionalmente. "Lella sceglieva qualcosa che mi serviva e mi dovevo accontentare di quello che lei aveva preso. ‘Ringraziamo la Provvidenza’, si diceva. E nessuno ha mai osato dire: 'questo non va per me, questo non mi piace.' Ma dentro di me sapevo che spesso i vestiti che ricevevo erano ridicoli, lo sentivo. Casualmente un giorno ricevetti delle cose gradevoli: una maglietta azzurra molto graziosa e una gonna verde mela. Per una volta erano veramente adatti a me, mi piacevano e mi fecero anche i complimenti al lavoro. Sono riuscita a goderne esattamente per un giorno. Lella dopo quella giornata mi ha costretto a darli a qualcun altro. 'Sei troppo vanitosa,' mi spiegò. Un' altra volta dissi che volevo un maglione di lana, ma Lella mi diede una camicia di cotone. Mi disse che era perché ero troppo preoccupata delle apparenze. E io non ho osai dirle che invece così avevo freddo tutto il tempo.

"I Focolari sono una sorta di grembo materno, accogliente e sicuro, nel quale si può dormire in posizione fetale il più a lungo possibile. Ma quando non si riesce più, quando non è più possibile, allora nasce un problema ", dice la Goudsmid, che ha vissuto  in comunità per quindici anni dopo il suo ingresso a diciannove. Quando aveva trentaquattro anni lasciò il movimento. "I Focolari in realtà sono una setta," dice lei, anche se lei ammette di non essere mai stato costretta a nulla e di essersi volontariamente adeguata alle regole del movimento. “Non è mai stato versato sangue sul tappeto dei Focolari." Ma è anche evidente che quando finalmente è riuscita a tagliare il suo legame con i Focolari, era in realtà ancora una bambina che non è abituata a fare le sue scelte, che non conosce i propri limiti, come gestire il denaro, come mandare avanti una casa, ma soprattutto come  sviluppare rapporti d'amore o di amicizia. Guardando indietro si dà una diagnosi dura. "Pensavo che vivere nella comunità dei Focolari fosse stata una mia scelta personale, pura onesta e disinteressata, ma avevo venduto la mia anima nella segreta speranza di trovare un po’ di amore. "

L'impossibilità di gestire se stessa è costata cara a Monique. Successivamente è stata vittima di abusi sessuali per un lungo periodo di tempo, come descrive nella  sua biografia di recente pubblicazione. Questo è anche il motivo per cui scrive e viene intervistata con uno pseudonimo.

Titolo: BEVRIJD – Over identiteitsverlies en de lange weg naar heelwording

          (trad. Liberata – Perdere l’identità e la strada lunga per guarire)

Autore: Monique Goudsmit

2009

ISBN: 978-94-90075-10-1

Euro 19,75

www.boekenroute.nl

www.calbona.nl

schrijven@calbona.nl

 

(traduzione dall'inglese a cura di Maria Teresa Mura)

 

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